RAFFAELLA LAEZZA ARCHITECTURE ITALY
ARCHITECT PHD

BOOKS, ARTICLES

2022

“CRASH PETER EISENMAN IUAV VENEZIA 1986-87”

di Raffaella Laezza e Shuli Beimel

con

Intervista a Peter Eisenman

Edizioni LetteraVentidue

2021

“LEONARDO DA VINCI ARCHITETTO.

INQUIETE SEQUENZE.

DIECI INTERROGAZIONI DI ARCHITETTURA NATURA”

di Raffaella Laezza

Edizioni LetteraVentidue

Postfazione di:

Paolo Zellini , matematico e saggista

Federico Gallo, Dottore Biblioteca Ambrosiana di Milano

2019

“CAPPELLA SISTINA.PROIETTILE “

di Raffaella Laezza

Premio letterario

Concorso nazionale di scrittura “Architettura di Parole” Prima Edizione _ 2019 Ordine degli Architetti PPC di Arezzo

Archivio Diaristico Nazionale Arezzo

“Incastonata nel palinsesto di tutti noi sporge per volume, dal tempio di Salomone da cui deriva: esplode il suo dettato.

Sta nelle mie mani, questa mattina, perché clicco sul mio telefono: Cappella Sistina.

Vedo troppa bidimensionalità e decido di prendere un treno e di andarci: subito.

Immediatamente.

Per raccontare questa architettura non vorrei parlare di numeri, sezioni, prospetti, ismi. Vorrei potermi muovere dentro al suo spazio e capire perchè gli esseri umani la amano.

Ci arrivo in poco, è la prima ora del mio pomeriggio che avevo prefigurato da anni, sui libri di Kaufmann, le lezioni di Tafuri, i brividi di errori storiografici che non mi avevano detto che senza stare lì, dentro, non potevo capire il suo segreto.

Semplice, tutto non è più un segreto adesso che sono qui, da un’ora.

Cielo:corpi divelti.

Terra:corpi viventi, io con la mia gente, della Terra in quest’epoca.Noi, che guardiamo e incrociamo, forti, i corpi del cielo. Siamo due folle in dialogo, è la prima volta per tutti noi.

Prosegue il cielo nelle pareti e si dilata nel mio sguardo risolto.

Io sono una folla in verticale, contenuta:dureremo qui insieme per poco, ora, noi siamo tutti uniti, sublimati da Michelangelo. Non sapevo che lui ci aveva chiesto di essere qui per spalancare, svelare ai suoi dipinti dove il mondo andrà.

Sono io, con questa gente e ci chiamiamo:”dove il mondo andrà”.

La mia lacrima è azzurra, poiché i miei occhi diventano grigi, scolorati dalla commozione.

Chi sei tu? Non chiudere la suoneria. Siamo tutti complici e protetti, per quest’ora, dai colori fosforescenti delle Sibille, dei Profeti. Il Giudizio snuvola in questo spazio poiché noi: respiriamo. L’aspirazione a trascendere i nostri errori ci abita: non c’è giudizio ma abbraccio universale. Perché questa architettura la stiamo costruendo ora, noi, qui con Michelangelo. Non c’è un tempo per noi, per Michelangelo; lui, mi svela questa possibilità. Io aspetto di rialzarmi.

Dopo lo spavento, dopo la potenza di questo messaggio che è un proiettile.

Ecco perché questa è architettura: vivifica con noi, umani, svolazza sui testi di critici e storici dove nascondeva il suo segreto.

Stesa, ora, vedo il nigeriano, il giapponese, il cingalese, la serba, il russo, la svedese, il senegalese, l’australiana qui, insieme a me: quietati.

Come dovrebbe essere ovunque.

Non potrò più essere spenta se lascerò far proseguire questo momento.

Noi, umanità, in questa architettura siamo stati bene, un’ora. Accanto.

Non posso andarmene.Il proiettile ha colpito tutto di me.”

2018

“CODICI DEL TEMPORANEO.

MANIFESTO DI ARCHITETTURA “

di Raffaella Laezza

Edizioni LetteraVentidue

ITA/INGL

2015-17

“ALFABETO MATERICO

PER FRANCO PURINI”

di Raffaella Laezza

sta in “SCRITTI IN ONORE DI FRANCO PURINI”

Liriti Editore

2013

MUSEO DEL DUOMO DI MILANO

“Fe2O3. QUESTO DUOMO”

di Raffaella Laezza

1

Vibra vibrazioni minime

Sussultorie non fisiche

Sfumature di Candoglia

Di cava l’inanimata natura

Una volta uscita e messa nel duomo

Ha iniziato ad emettere

Onde di lui vibratili

In verticale ordine ordinatissimo.

2

Nel suo stare vicino

Al mio palazzo Casnedi sa qui

Portare continua

Onda e condurre la figurazione dei miei paesaggi visivi

Interni altrove.

Chi ha il duomo vicino a sé

Fisicamente può cambiare strada nell’architettura, nell’arte: possibilità di.

Porge il moto di continua rivoluzione

Nella bellezza.

3

Il piu vicino museo del duomo è appena inaugurato e visto in passeggiata.

4

Azzera la distanza con i 143 metri delle sue altitutidini.

Incontri alati marmorei

Tagli di busti allineato occhi

Corpi angelicati tutti.

Persiste eco di architettura

I pezzi del Duomo

In ordine fatto di precisissime

Luci a loro conferite

Ci lascia toccare guglie,

tagli e taglietti di cava di Candoglia Fe2O3

di sacra scultura in pezzi preparatori,

sostituzioni,

marmi di sostegno.

5

Incoraggia amore dei profili,

toglie distanza tra noi e le milioni di mani faber del duomo

che lì poco distante non attende i suoi frammenti

qui mostrati

poiché quietati in questo nuovo spazio

e votati

a ri-nominare il duomo stesso.

Ora, esso, è d’Uomo.

2011

PETER EISENMAN. “UN NUOVO SILENZIO.

CITTA’ CULTURA GALITIA SANTIAGO DE COMPOSTELA.SPAGNA.”

di Raffaella Laezza

E’ in via di conclusione, di Peter Eisenman, la Città della Cultura a Santiago de Compostela. Ed è già masterpiece, icona contemporanea. Per questo progetto, 19 parole, semplici verbi.

Uno. Provare a visitare questa architettura. Sul Monte Gaias a pochi passi fuori Santiago. Capitare al mattino prestissimo. E rimanerci due, tre giorni.

Due. Esserci significa riuscire a portare, facilmente, il pensiero al di là dalla storia, della contemporaneità e sintonizzarsi con la cifra di cattedrali romaniche, spazi egizi. Ed è sosta.

Tre. Camminare accelerati dai 686.000mq che la definiscono misuralmente tra superficie urbanizzata (175.000mq) e non, e tra gli edifici. Essere fuori e dentro contemporaneamente i sei edifici che la compongono: Biblioteca (26.000mq) conclusa, Archivio (9.600mq) concluso, Museo (20.800mq) in fase di conclusione, Centro arte internazionale (16.000mq) in fase di conclusione, Servizi centrali (7.500mq) concluso, Centro musica (55.000mq), le cui fondamenta affiorano come prime strutture cementizie cartesiane. Entro il 2012 la città sarà terminata e i lavori sono iniziati nel 2001.

Quattro. Fermare l’occhio sui milioni di pezzi di quarzite che la misurano, ricoprendola, in copertura, parti di prospetto, pavimentazioni con moduli minimi da 30cmX30cm e massimi, in copertura, per la griglia di 16mx20m. Sfumature grigie, bianche, auree, rosastre. Tra brandelli di terra, di fresco scavo, a lato.

Cinque. Stare qualche ora nella biblioteca, gia attiva, interno bianchissimo: vedere tra tagli finestrati gli altri pezzi esterni. Essere tra un libro posato, una colonna cartesiana 1,20mx1,20m alta 12 m e un morbido, truce, potente volume. Mai troppo grande, né troppo piccolo perchè senza scala.

Sei. Potere sentirsi costantemente in uno stato di silenzio appena fuori dal centro urbano di Santiago peraltro gia incline ad un simile voto.

Sette. Trovarsi, nell’incedere, a salire su una copertura invitati dai volumi architettonici portati in continuità con la linea terra. Fluente.

Otto. Fermarsi negli spazi interstiziali tra i volumi alla prima visuale, lontanissima, verso il territorio circostante mai negato. Poi, nella seconda , appena pochi passi in là, vedere un altro, nuovo, dilatato punto sull’orizzonte di Santiago. Persiste un gioco di spazialità vettoriale ricavato nella natura geologica della collina alla quale è stata ripristinata una nuova natura, artificiata.

Nove. Sentirsi sempre sedotti dal piano costruttivo, qui sublimato da inevitabili e piccolissimi errori di cantiere. Struttura in cemento armato e acciaio.

Dieci. Aspettarsi di tutto, anche il generoso gesto, dedicato all’amico John Hejduk della costruzione delle sue due torri (350mq) ora sede di convergenza degli impianti.

Undici. Non pensare più ai saggi di Eisenman su Giuseppe Terragni, o ai suoi Diagram Diaries, le sue X Houses, o al fondamentale testo “La fine del classico”.

Questo luogo, per essere colto, non necessita degli strumenti della storiografia, filologia o di un racconto. Ma di una intelligenza emozionale.

Dodici. Cogliere il tattile codice genetico del progetto, programmato al computer, e costantemente verificarlo attraverso centinaia di modelli: una grande sala, vicino all’ Archivio, ne testimonia il process. Leggere la stratificazioni di steps, che compongono il palinsesto compositivo,le piante dei livelli di costruzione ed i plasticismi complessi delle forme curve nelle tre direzioni

Tredici. Percepire un’organizzazione tra volumi che in una sotterranea linea (larga 9m, lunga 525m, quota -7m) coordina i servizi ai rispettivi teatro, museo, biblioteca, archivio. E, in quota, ne evita il racconto lasciando spazio ad ampi vuoti di sosta.

Quattordici. Visitare il cantiere singolo, quasi concluso, del museo. Oggi è possibile a chiunque: la Fundacion Cidade da cultura de Galicia ne organizza visite continue. Anche questo è un interno bianchissimo a tutta altezza (35m) luogo di possibili, vorticosi, stati. La sua sezione principale, una grande e modulata parete vetrata, mette in raccordo con un’unica morbida linea, il dorsale della collina.

Quindici. Pensare che quando un edificio coglie,internamente, la geometria delle grandi linee della geologia, del landscape, passa ad un classicità che appartiene istintivamente a tutti e che, simultaneamente, è silente di retorica. Niente intellettualismi, accademismi: tutto passa in secondo piano. Si intuisce che la ricerca contemporanea aspettava questo lavoro, di incontro, aperto, alle forme geometriche della natura accompagnandoci in un nuovo punto dell’architettura. Architettura come stato di conoscenza, che tocca lo spirito.

Sedici. Capire che il monte Gaias è dotato di un nuovo, apparentemente ostile, silenzio. E che di questo silenzio, nell’architettura, tutti ne sentivamo la necessità.

Diciassette. Aspettare l’imminente conclusione dei lavori anche se, come la cattedrale di Gaudì, forse ci sarà sempre qualcosa in leggera mutazione.

Diciotto. Ritornare nella realtà italiana e pensare che se i progetti del maestro americano per esempio per Napoli non saranno realizzati, forse si perde qualcosa.

Diciannove. Prendere atto che se la Xunta de Galicia ha, oggi, costruito un luogo simile per la cultura quest’ultima è ancora una priorità.

2004-2005

2005

"PETER EISENMAN
CITTA' DELLA CULTURA DELLA GALICIA , SANTIAGO DE COMPOSTELA "
ITA| ENGL
5+1 DOMANDE A PETER EISENMAN Presentazione di Guido Zuliani TERRA_GROUND
I
STATO INTERMEDIO CO DICE DISTORSIONE TOPOLOGJCA
2
VIRUS RI-SCRITTURA
3
DIMENSIONE CRITICA
4
IMPLOSIONE I
5
IMPLOSIONE 2
6
RISONANZA CLASSICA

2004

"PARAMETRO"
NUMERO 254
A CURA DI RAFFAELLA LAEZZA
CON SCRITTI DI:
MASSIMO CACCIARI, CINTHYA DAVIDSON,
PETER EISENMAN, FRANCO PURINI

2001


"L'ARCHITETTURA DELLA LINEA TERRA"
di Raffaella Laezza
con Introduzione di Franco Purini
Edizioni Osiride
pubblicazione Tesi di Dottorato in Composizione architettonica
XIII CICLO UNIVERSITA' IUAV VENEZIA

Testo fondamentale che segna l’inizio di un percorso fondato sul rapporto tra architettura e natura nel suo codice terraneo, genetico e geometrico e spaziale. E’ una visione della natura in macro scala_la Terra_ come morfogenesi di superficie in cui l’architettura si innesta nel rispetto delle forme della Terra. I rilievi, le deformazioni estatiche sono esse stesse architetture in cui l’architettura nuova si innesta e trova spazio.La consapevolezza della radice terranea,

sostenibile dell’architettura

fonda una

progettazione singolare.

Fundamental text that marks the beginning of a path based on the relationship between architecture and nature in its “groundly” , geometric and spatial genetic code. It is a macro-scale vision of nature_the Ground _ as a surface morphogenesis in which architecture is grafted in respect of its forms. The reliefs of the Ground, its ecstatic deformations are themselves architectures in which new architecture finds space. The awareness of the groundly,

sustainable root of architecture

is the basis of

a singular design.

INTRODUZIONE DI FRANCO PURINI

“Se in architettura fosse veramente possibile parlare di poesia, al di là della metafora, il lavoro di Raffaella Laezza costituirebbe un buon motivo per farlo. Quello della giovane progettista trentina – un architetto/artista che ha distillato dal suo paesaggio nativo i limpidi umori estetici che già nutrirono Adalberto Libera, Gino Pollini, Lucio Baldessari tra altri importanti protagonisti di una stagione eroica della cultura italiana del Novecento – è una ricerca intransigente fino all’assolutezza ermetica, una prospezione polarizzata che surriscalda il suo nucleo sotto l’azione di una visionarie accelerata ed estrema. La rara facoltà di mostrare un universo di forme nuove come se fosse già esistente è espressa in immagini icastiche, concentrate attorno all’idea forza della Linea Terra. Con quella esattezza logica che solo la poesia possiede tale linea – un corridoio energetico infinito-è considerata una giacitura astratta e nello stesso tempo fisica, uno strato nel quale è compressa tutta la forza di uno spazio architettonico strutturato per elementi di natura grammatologica, vale a dire esistenti principalmente in un ambito teorico primario che non prevede evoluzioni, e quindi narrazioni, ma solo combinazioni, accostamenti, relazioni di contiguità e di distanza. Rivelato dalla luce – una luce anch’essa fisica , già plastica prima dei volumi e dei piani che modella e ritaglia – questo spazio si dà in inquadrature intense che ricordano nella loro essenzialità geometrica le sospese scenografie di Adolphe Appia. Animato da una contraddizione trasformata consapevolmente in espressione, ovvero l’essere puro segno immateriale e insieme concreta successione di fatti tridimensionali, la Linea Terra si propone come un universo sequenziale che azzera la temporalità propria di ogni successione, trovando in questo paradossale annullamento il suo senso più evidente e insieme misterioso.

Certo, chi volesse contrastare la ricerca di Raffaella Laezza con argomenti legati alle convenzioni con le quali si legge normalmente l’architettura, potrebbe obbiettare che l’intensità con la quale queste immagini coinvolgono chi le guarda è forse eccessiva, richiedendo un’attenzione altrettanto fervida, nonché una loro interpretazione perfettamente intonata alle sottili tessiture semantiche che si offrono alla vista, riproponendo l’opinione secondo la quale l’architettura dovrebbe al contrario ricorrere a un registro formale meno pronunciato e a più libere modalità di decodificazione; sarebbe anche facile per chi intendesse proseguire in una critica di stampo realistico, interessato inoltre alle problematiche partecipative, rintracciare in questo lavoro una troppo esplicita volontà di suggerire, assieme alle forme, anche il loro modo di lettura, allestendo una sorta di circolarità autoreferenziale che finisce per escludere piuttosto che accogliere; ad altri, ancora, chiusi in una concezione dell’architettura tutta centrata sulla verifica costruttiva delle proposte compositive, verrebbe infine da pensare che manchi a questo lavoro la severità oggettiva richiesta da quel montaggio razionale delle parti che è la condizione essenziale perché un’ipotesi spaziale diventi une edificio: in realtà tali riserve ipotetiche sono del tutto vanificate dalla verità stessa delle immagini, dalla ,oro incontestabile presenza figurale e dalla loro costituzione in un impeccabile sistema di momenti formativi matematicamente correlati. Verità, presenza e costituzione che trascendono qualsiasi necessità di spiegazione, proponendo la nuda evidenza delle cose come paradigma unico e sufficiente. Esibiti come morfemi di araldica ma anche ambigua concisione, le singole vedute richiamano anche alla mente, con la loro nitidezza cristallografica e il loro deciso racchiudersi attorno al proprio centro, i magici e inquieti Teatrini di Lucio Fontana.Opposta alla linea di terra, semplice luogo di un contatto, mera topologia, la Linea Terra si dà sostanzialmente come intersezione concettuale ed emotiva tra la regione del proliferare quasi biologico delle forme, del ricco contenersi delle possibilità creative in un colmo e rovente grembo e quella della scelta di quali tra queste molteplici efflorescenze far crescere. Da questo punto di vista la Linea Terra appartiene all’amnesia almeno quanto partecipa della memoria.

Dotata della capacità di coniugare una scrittura densa di valori simbolici con un senso innato della costruzione, intesa questa come sicuro ed esclusivo ordinamento nello spazio di elementi chiamati a svolgere un ruolo tettonico, – e ciò in un arco temporale assunto come materiale compositivo primario- Raffaella Laezza ha definito un repertorio/elenco di pensieri/azioni che ridefiniscono e. Misurano il territorio dell’architettura con rigore e passione. In un’età in cui la tecnica ha annullato ogni altra forma facendosi fine, e non più strumento, un tempo nel quale tutto sembra diventare comunicazione, ma una comunicazione avviata ad un rapido consumo che contraddice se stessa in una inafferrabile istantaneità, questo lavoro fa sperare in un ritrovamento dell’autentico proprio là dove il confine tra il corpo terrestre e il cielo disegna mondi architettonici nei quali è possibile di nuovo abitare poeticamente. Nel suo accogliere un vibrante spessore che si dà come sovrapposizione di infinite fibre – un annodarsi di percorsi dinamici nei quali schiere di virtuali spazialità future attendono di essere messe al mondo de quel nominare nel quale si invera il progetto – la Linea Terra è allora il luogo mentale di uno dei pochi fondamenti ritrovati. Come in una corda tesa, bene intrecciata e animata dal fuoco interno del suo segreto filo rosso, scorre lungo questo cammino senza fine il senso di un tempo nuovo. “

 Franco Purini

 Ottobre 2001

1994-2000

ALTRI SCRITTI

ARCHIVE RAFFAELLA LAEZZA